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Il Ticino e la polizia che verrĂ 

Giancarlo Dillena © Ticinonews

Pasticcio poliziesco in salsa partitica: questa è l’impressione che molti hanno avuto del modo con cui in Parlamento si è affrontata la riforma delle polizie. Non che la cosa sia più sorprendente di quel tanto, in un clima politico dominato dall’ossessione degli uni di squalificare a qualsiasi costo la maggioranza governativa, dalla volontà di quest’ultima di affermare la propria linea, dallo schiacciamento degli altri nel mezzo.

Ma bisogna ammettere che anche il tema è di per sé particolarmente sensibile e controverso. Perché non solo tocca direttamente il rapporto Stato-cittadino, ma chiama in causa l’equilibrio fra potere cantonale e poteri locali, da sempre delicato e oggi ulteriormente destabilizzato dalle fusioni.


Che ci sia confronto, anche aspro, è nella natura della questione. Essenziale è che si sappia andare oltre, poiché la posta in gioco – la sicurezza dei cittadini, nel rispetto dei diritti e dei doveri alla base della convivenza civile – è troppo importante per diventare ostaggio di tatticismi, ripicche e quant’altro.


Detto questo bisogna sgomberare subito il campo da possibili equivoci. Innanzittuto il concetto stesso di «polizia unica» va relativizzato. Anche se alla fine si dovesse arrivare alla fusione fra Cantonale e Comunali, la nuova «unica» continuerebbe a coabitare con le guardie di confine (i cui compiti di polizia sono stati estesi, anche territorialmente, con Schengen), la polizia militare, quella ferroviaria, i numerosi servizi privati (che svolgono diversi compiti a diretto contatto con i cittadini). Problemi di coordinamento (e magari qualche tensione) ci saranno dunque sempre.


Si può replicare che proprio questo spinge a ridurre almeno la frammentazione delle due componenti più estese. Ma attenzione, anche qui, al di là delle valutazioni sommarie, non esistono una soluzione «buona» e una «cattiva», una «moderna» e una «obsoleta». Ciascuna soluzione presenta vantaggi e svantaggi. A dipendenza dell’approccio alle varie tematiche della sicurezza; delle priorità che si privilegiano; delle situazioni particolari di ogni regione. Tant’è che nella Svizzera delle diversità federalistiche coesistono oggi più modelli. Una varietà spiegata da ragioni storiche, condizioni di partenza – essere un cantone urbano, un cantone-corridoio o un cantone di confine è assai diverso – ma anche precise scelte politiche.

 

In questo senso per chi punta essenzialmente sull’efficienza operativa, la gestione delle grandi emergenze, le azioni puntuali e mirate, disporre di un unico corpo presenta certamente dei vantaggi (quantomeno in termini di condotta). Ma la polizia non è solo questo. Non meno importante è una presenza costante e continuativa su ogni frazione di territorio, a stretto contatto con le comunità, le famiglie, le persone. Poiché, accanto alla grandi minacce, vi sono innumerevoli situazioni (si pensi ai conflitti familiari e di vicinato) la cui importanza è conosciuta (da un litigio domestico può scaturire un delitto) e riconosciuta (nuovi compiti di controllo e interventi assegnati espressamente alla polizia). La prossimità permette di gestire sicuramente meglio questi problemi, anche in termini di prevenzione.

 

È chiaro che se la scelta politica di un Comune è quella di impiegare le proprie risorse di polizia per fare cassa a suon di multe, a scapito di altri compiti, ci si può chiedere se abbia davvero senso continuare con l’odierna impostazione. Ma questo è un altro problema. E probabilmente è il vero nocciolo del problema: la linea divisoria passa, più che fra Cantonale e Comunali in generale, fra realtà locali funzionanti, che coltivano il fondamentale rapporto di fiducia con il cittadino, e realtà in cui prevalgono altre logiche (di cassa, di partito, legate a personalismi) che finiscono inevitabilmente col penalizzare il servizio al cittadino. Ma queste disfunzioni possono giustificare, da sole, la rinuncia ad un sistema che ha portato anche, indubbiamente, molti benefici?

 

La soluzione regionale, che disegna una serie di «laboratori» con dimensioni e condizioni diverse, può essere un ottimo banco di prova per ponderare pro e contro di un assetto comunque in evoluzione. Anche dal punto di vista della Polizia cantonale, che pure ha conosciuto turbolenze, riforme e controriforme nei tempi recenti, a riprova che il problema è complesso, ha molte sfaccettature e nessuna facile via d’uscita. In questo senso la via delle soluzioni progressive, che maturano col tempo, tenendo conto delle esperienze fatte e del sempre lento e faticoso mutare delle mentalità, è probabilmente la più saggia. Essenziale è che sia accompagnata da un pubblico dibattito, il più possibile aperto. Poiché le polizie non appartengono al Cantone o al Comune: appartengono a tutti noi.

 

 

Giancarlo Dillena

27 Giugno 2015

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